Lavoro, contrattazione, Europa, economia
Come gli altri dibattiti della giornata, anche questo parte dall’ultima novità di oggi in manovra: la commissione bilancio in senato ha votato modifiche all’art 8 in tema di lavoro.
Cosa è stato votato? Cosa cambia dopo questa modifica?
Fassina risponde subito ricordando l’impianto già grave sia dell’art 8 sia del decreto che lo contiene, misura già dannosa quindi, ma potenziata nel suo effetto negativo sul welfare da questa ultima modifica. Con la quale salta il contratto nazionale e lo statuto dei lavoratori, istituti declassati da contratti aziendali, e trattative sindacali territoriali, possibilmente costruite all’uopo, caso per caso, impresa per impresa, lavoratore per lavoratore.
Il mondo del lavoro non risponde più a leggi chiare e condivise a livello nazionale, ma a micro poteri e sistemi territoriali.
Salta anche l’accordo congiunto fra sigle sindacali e confindustria raggiunto il 28 giugno scorso. Accordo che il ministro Sacconi non ha potuto evitare, pur volendolo fortemente. Ma ha colpito duro dopo, sicuramente oggi con l’approvazione della modifica all’art.8. Fassina assicura una battaglia serrata su questo punto, e il sostegno a tutte le iniziative promosse a tale scopo, prima fra tutte lo sciopero indetto dalla CGIL per il prossimo 6 settembre.
Non è di segno opposto il pensiero di Pugliese, che guarda la manovra e questo ultimo provvedimento dalla parte dell’imprenditore, del datore di lavoro “perché un’impresa registri un buon fatturato, è indispensabile il clima sereno fra dipendenti e fra questi e l’impresa stessa”.
Sconcertante anche il fattore temporale “impensabile e grave che misura di forte impatto sul mondo del lavoro sia stata presa in poche ore”.
La manovra ha inoltre inflitto un duro colpo alle cooperative, fonte di lavoro e reddito, di crescita e produttività, in Italia come in Europa sono le imprese che chiudono in attivo, che creano posti di lavoro e operano in settori di sostegno sociale. In un momento in cui il paese ha bisogno di strategie per aumentare la produzione e il Pil, il governo attacca con misure repressive le imprese cooperative che rappresentano il 12% del Pil.
Ma quando si parla di lavoro, non si parla solo di chi ce l’ha, anche di chi non ce l’ha ( il 28% il Italia, per la maggioranza donne, residenti al sud). Cosa chiede l’Europa per la crescita?
“Dipende da quale Europa” risponde Pittella, “c’è un Europa dei governi e una dei cittadini rappresentata dal parlamento europeo” , la prima sta dando risposte piccole e tardive, è un Europa a maggioranza centro destra che tenta di uscire dalla crisi senza formulare politiche per la crescita e lo sviluppo. Ma l’Europa del parlamento, quella delle forze socialiste e progressiste, propone soluzioni di rilancio come la creazione degli eurobond, titoli di debito emessi dalla Banca Europea, una raccolta di risparmi di tutto il mondo per investimenti in progetti di sviluppo e modernizzazione: banda larga, energie rinnovabili, erasmus, ricerca.
Per renderci conto della portata della proposta eurobond ci basta pensare che se adottati porterebbero mille mld di euro l’anno. Ma la proposta sebbene costruttiva incontra il rifiuto della Merkel e di Sarkozy.
E dal parlamento italiano cosa si vede?
Domanda rivolta e raccolta da Ventura, che non può non ripassare dal via, da quanto accaduto oggi in senato con la deroga all’art.8, espressione della volontà del governo di spaccare il mondo del lavoro, visione “ vintage” del sistema del lavoro, che colloca Sacconi più negli anni 80 che nel nuovo millennio.
“questa del lavoro è come quella sulla famiglia: tante parole, proclami e poi cosa c’è in manovra a sostegno delle famiglie? Niente”
Questo paese ha un debito pubblico più alto del mondo, il 120% del Pil, un ritmo della crescita che in euro zona segna un punto in meno rispetto a tutti gli altri paesi, un governo tra i più scadenti d’Europa. Per quanto la BCE comprerà i nostri titoli? E a pochi centimetri dal baratro, il governo di Berlusconi va alla cieca nella stesura della manovra più importante di questi ultimi anni.
E a proposito di ultimi anni è Fassina a dire chiaramente che questa manovra non è un fulmine a ciel sereno, ma il risultato di tre anni gestiti alla “carlona”, spesso mentendo, riducendo una crisi economica che avanzava a mero atteggiamento pessimistico diffuso e alimentato dalla sinistra.
Ma al di là della novella c’è la storia: per tre anni questo governo non ha voluto affrontare il nodo della crescita perché per farlo avrebbe dovuto scomodare gli interessi di coloro che lo votano.
Noi Pd ci batteremo affinché questa manovra inserisca un principio di equità: paghi chi non ha mai pagato o ha pagato troppo poco il rientro di capitali dall’estero.
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