Cominciar quivi una crudel battaglia,/come a piè si trovar, coi brandi ignudi:/non che le piastre e la minuta maglia,/ ma ai colpi lor non reggerian gl'incudi.
Solo un Ariosto aeronautico potrebbe descrivere la furiosa tragicommedia recitata intorno ad Alitalia. A noi non resta che domandarci: cosa insegna, di nuovo, questa vicenda?
Non insegna nulla di nuovo sul governo del Paese. I ministri amano dire gatto! prima di averlo nel sacco. E in Italia dobbiamo avere sacchi minuscoli o gatti velocissimi, perché spesso ci ritroviamo a mani vuote. Questo governo non è diverso dagli altri. I risultati prima s'annunciano, poi s'inseguono affannosamente. C'era Air France, l'abbiamo fatta scappare: geniale.
Non racconta niente di originale sul modo di fare le riforme. I cambiamenti italiani avvengono per accomodare gli interni (insiders, in milanese moderno). La riforma della scuola elementare serviva per trovare posto ai maestri; la riforma della giustizia deve garantire avvocati e giudici, quella delle banche i banchieri, quella della televisione chi ci lavora. Il pubblico (utenti, clienti, consumatori) resta sullo sfondo. Se ci guadagna, è una coincidenza.
Non rivela nulla di particolare sulla cultura d'impresa. I nostri capitani coraggiosi (non solo i 16 della cordata CAI) preferiscono, non da oggi, la navigazione sul lago. Telefoni, autostrade o concessioni televisive: cambia poco. L'inizio della carriera è un brulicare di idee e convegni, sogni originali e brillanti investimenti. Poi subentrano l'età, l'incertezza, i figli, le mogli. La nazione che voleva "fare la rivoluzione col permesso dei Carabinieri" (Longanesi) ha i capitalisti che si merita. Amano la competition con l'airbag: l'importante è non farsi male.
Non dice nulla di speciale sulle relazioni sindacali. Un mondo magmatico, dove diritti e furbizie s'intrecciano con proteste legittime e privilegi imbarazzanti. Come tanti, ho provato per anni a capire chi fosse responsabile del disastro a puntate dell'Alitalia: prima di un articolo o di un programma TV, in un aeroporto o durante un volo (sono rimasto pateticamente fedele). Ho ascoltato l'amministratore delegato e il tecnico della manutenzione, il ministro e il consulente, i piloti (tanti e loquaci) e il personale di terra, l'impiegato all'estero e le assistenti di volo. Ognuno cercava di convincermi che la colpa era degli altri.
Non insegna niente sul modo in cui si prendono le decisioni importanti, quelle che segnano il futuro di un Paese. Maratone nella notte, tavoli caotici e infiniti, cartelli e comunicati, giornalisti accampati, ultimatum non ultimativi, scioperi-ripicca, dichiarazioni sopra le righe, compromessi sottobanco. Tutto già visto, tutto ben noto agli italiani (quelli che alla fine pagheranno i debiti della bad company). Se la rassegnazione che si respira in giro fosse ossigeno, potremmo scalare tutti il K2.
Cosa rivela di nuovo
Beppe Severgnini, Italians.
(Dal Corriere della Sera del 18 settembre 2008)